martedì 19 giugno 2012

Cines 1949-1958





(Il dossier che segue ripropone, con un diverso montaggio, una piccola parte dei documenti raccolti nel booklet del DVD Le schiave di Cartagine, in uscita il 18 luglio. Vengono qui reintegrati, però, quei testi che per motivi di spazio siamo stati costretti a tagliare, mentre rimangono esclusiva del cartaceo tutti i documenti d'epoca sul film di Guido Brignone, ultima produzione targata Cines.)

Cines” è forse soprattutto un marchio, un'etichetta che ha attraversato oltre mezzo secolo di storia italiana e ha assistito, spesso da protagonista, a cadute e rinascite del nostro cinema. Sarebbe forzato, infatti, voler ricondurre a un minimo comun denominatore le varie società che nel corso dei decenni si sono fregiate di questo stesso marchio, visto che tanto i personaggi quanto i propositi che hanno animato la prima fondazione, all'epoca del muto, sono sicuramente molto diversi da quelli che ne hanno determinato le successive reincarnazioni in epoca fascista. Ci limiteremo quindi a ricordare che la primissima Cines viene inaugurata a Roma nel 1906, come prosecuzione dell'attività intrapresa già l'anno precedente da Filoteo Albertini e soci, responsabili del famoso La presa di Roma, primo film italiano a soggetto (1905). L'etichetta, fra una vicissitudine e l'altra, diventa presto una delle principali società italiane, producendo fra gli altri il Quo vadis? di Enrico Guazzoni (1912), ma non sfugge alla crisi generalizzata che affligge l'intero settore subito dopo la Prima guerra mondiale, chiudendo definitivamente i battenti nel 1923.
Nel 1929, agli albori del sonoro, è Stefano Pittaluga a farsi alfiere della resurrezione forse più importante della Cines, ripristinando la produzione e realizzando il primo film italiano parlato, La canzone dell'amore di Gennaro Righelli, uscito nel 1930. La società inizia così un nuovo periodo di fioritura artistica, che sopravvive alla stessa inaspettata scomparsa di Pittaluga (1931), ma si conclude pochi anni dopo con l'incendio degli studi situati in via Veio (settembre 1935). Nel 1941 vede però la luce un'altra Cines, voluta soprattutto dall'ex Direttore generale della cinematografia fascista, Luigi Freddi, che affiancandola agli stabilimenti di Cinecittà e al circuito distributivo gestito dall'Enic mirava soprattutto a costruire una struttura verticale completa in mano allo Stato. Non a caso, sarà proprio questa Cines a cercare poi di impiantare al nord una produzione cinematografica “regolare” durante la Repubblica di Salò. Caduto infine il Fascismo, la Cines viene in un primo momento commissariata, per riprendere però nuovamente la produzione dal 1949, anche stavolta sotto forma di ente cinematografico di Stato, con finanziamenti pubblici. Quando, il 13 marzo 1958, la società viene definitivamente messa in liquidazione, il passivo ormai insanabile è di oltre un miliardo di lire dell'epoca. Uno scandalo, lontano nel tempo ma non nei modi, che merita forse qualche approfondimento.


Nel 1949 la Cines società per azioni è sempre in vita ed è sottoposta a gestione commissariale; la regge l’ing. Guido Luzzato – che è anche direttore generale di Cinecittà – il quale si limita – come dice Ernesto Rossi – a tenerla “a bagnomaria”. Ma è l’anno in cui si ricomincia a costruire Cinecittà, dove viene insediato un nuovo Consiglio d’amministrazione con presidente Ettore Cambi, che è già presidente dell’Enic. Forse si pensa che un ex-ragioniere generale dello Stato sia in grado di mettere ordine nell’amministrazione delle società cinematografiche. Nel maggio di quell’anno il Ministro delle Finanze decide di riattivare anche la Cines, di immettervi una cospicua quantità di danaro mediante un aumento di capitale (300 milioni, di cui 291 del Demanio, 4,5 di Cinecittà, 4,5 dell’Enic) e di nominare un consiglio d’amministrazione: Ettore Cambi presidente, Carlo Civallero amministratore delegato e direttore generale, Angelo Foffano, Eitel Monaco, un rappresentante del Tesoro, uno dei sindacati. [...] Nell’anno della ricostituzione la Cines produceva due film: Cuori sul mare di Giorgio Bianchi e Due mogli sono troppe di Mario Camerini. Era un periodo in cui si parlava molto di crisi e di disoccupazione, ma a chiusura d’annata si potevano contare 95 film italiani. Nell’assumere l’incarico Civallero aveva manifestato il proposito di portare “la produzione a un livello di elevati criteri artistici”, ma, come sempre, la pratica doveva smentire le buone intenzioni. Come si è già detto, rimarrà sempre misterioso il meccanismo con il quale vengono progettati, varati, messi in cantiere e realizzati film non solo prevedibilmente mediocri, ma che neppure sulla carta promettono il recupero del capitale impiegato. È stato detto più volte che i “carrozzoni” statali servono soltanto a gestire una forma di (ricca) assistenza nei riguardi di qualche protetto; ma questo non spiega ancora l’elevata percentuale di film falliti sia dal punto di vista artistico che da quello commerciale

Riccardo Redi, La Cines. Storia di una casa di produzione italiana, CNC, Roma, 1991.


La Cines venne ricostituita, principalmente in seguito a pressioni sindacali, quando maggiormente scarseggiava il lavoro, e, in obbedienza alle precise direttive ricevute, svolse una intensissima attività produttiva realizzando dall’estate del 1949 al 30 giugno del 1952 ben 14 film. Ciò valse a fronteggiare il periodo più grave della disoccupazione e a procurare lavoro anche nei mesi peggiori mediante difficoltose lavorazioni invernali. Inevitabilmente alcuni dei primi film risentirono dell’affrettata preparazione. Inoltre, dato il piccolo capitale della Società, per svolgere una così rilevante mole di lavoro fu necessario ricorrere largamente al credito bancario con la conseguenza che alla fine del 1955 erano stati pagati alle banche oltre 650 milioni di interessi passivi. Finita la disoccupazione venne ridotta al minimo la produzione limitandola, dal 1954 al 1955, a soli sei film, tre dei quali realizzati in associazione con altre ditte. Tenuto conto di quanto sopra accennato, nonché del fatto che nelle coproduzioni varie persone competenti e interessate condividono le maggiori responsabilità, sono pronto ad ammettere manchevolezze ed errate valutazioni da parte mia, ma non mi sembra che si possa senz’altro asserire che la produzione effettuata dal 1949 al 1955 sia stata un lavoro caotico guidato da scarsa competenza

Carlo Civallero, Una lettera di Civallero, “Cinema Nuovo”, n. 104, 1 aprile 1957


Ma le dichiarazioni più singolari sono state senza dubbio quelle di Aldo Borelli, direttore generale della Cines. “Le direttive di produzione della Cines”, ha detto Borelli, “si possono desumere dal carattere dei due film prodotti nel 1956: Moglie e buoi... e Le schiave di Cartagine. Si tratta infatti, rispettivamente, di una opera artisticamente valida e di un film a carattere spettacolare di sicura presa sul pubblico. Su tali criteri, a produzione cioè di film d’arte da un lato, e di film spettacolari dall’altro, è imperniato il programma della Cines per il 1957. È prevista infatti la realizzazione di due film a carattere spettacolare: Grand Hotel e Don Bosco, il ribelle di Dio, e di due film a carattere artistico: Il compagno di viaggio e Il romanzo di Rosa Bathurst, tratti rispettivamente da un soggetto di Malaparte e da uno di Giorgio Nelson Page” [nessuno dei quattro progetti sarà realizzato]. Come la Titanus, anche la Cines avrebbe tutte le possibilità di dare un apporto risolutivo alla crisi del cinema italiano. Con gli altri enti cinematografici di Stato, infatti, con i teatri di posa di Cinecittà, l’organizzazione di noleggio e il vasto circuito di sale dell’Enic, e il Centro Sperimentale, la Cines costituirebbe un potentissimo complesso industriale, unico in Europa, tale da essere paragonato per la sua completa struttura verticale, che abbraccia tutti gli stadi della produzione, dalla preparazione dei quadri allo smercio del prodotto, alle più moderne e solide società americane. Con i più i vantaggi, per l’illimitato appoggio dello Stato, di non avere immediate preoccupazioni d’ordine finanziario. Basterebbe la fusione dei diversi enti, o almeno una precisa politica comune, e la guida di dirigenti esperti, intelligenti, attenti. Questi enti invece sono divisi, retti da persone che non nascondono la più totale sfiducia reciproca; e tutti sanno in che acque navigano. [...]
Dello stato critico della Cines si faceva colpa fino a un anno fa a Carlo Civallero, che aveva diretto la società dal 1949, da quando cioè era uscita dalla gestione commissariale. L’esperienza cinematografica di Civallero non era profonda. Aveva fatto, sì, negli ultimi anni di guerra il direttore di produzione, proprio per la Cines, ma al cinema era arrivato tardi, dopo aver lasciato la carriera di ufficiale della marina militare [...]. La sua nomina, infatti, era dovuta soprattutto alla grande amicizia con De Gasperi e alle molte e importanti relazioni che vincoli di parentela (è cognato di Emilio Bonomelli, direttore delle ville pontificie di Castelgandolfo) gli avevano procurato in Vaticano. [...] Un anno fa Civallero, capro espiatorio, è saltato. Ma non sono mutati gran che i criteri di gestione. A sostituirlo, Andreotti, che come ministro delle Finanze controlla la maggioranza del pacchetto azionario (che appartiene al Demanio), chiamò un amico suo e di Fanfani, Aldo Borelli. Borelli è un giornalista di fama, aveva diretto con grande abilità “Il Corriere della Sera” in un momento difficile, nel 1929, quando bisognava difenderlo e salvarlo dalla concorrenza e dagli attacchi del “Popolo d’Italia”. Ma di cinema non se n’era mai occupato, era ancora più digiuno di Civallero. [...] “Non abbiamo come obbiettivo di fare film d’arte a tutti i costi e solo film d’arte”, dichiarò Borelli appena preso possesso del suo nuovo posto, “quello che ci importa è produrre delle opere da bravi artigiani”. Un anno di attività e di esperienza non sembra gli abbiano chiarito molto le idee, né dato una più ampia prospettiva dei problemi cinematografici, né messo in luce pur nella modestia dei propositi un suo gusto sicuro e sopraffino, se oggi pensa di giudicare un “film d’arte” Moglie e buoi..., un “prodotto da bravi artigiani” Le schiave di Cartagine e un “film spettacolare” il futuro Don Bosco, il ribelle di Dio.

Enrico Rossetti, L’unico soddisfatto monsignor Galletto, “Cinema Nuovo”, n. 99, 1 febbraio 1957